Daniele Vicari: “Da Fela Kuti e dall’afrobeat ritroviamo lo slancio per cambiare il mondo”

Fela Kuti è stato molto più che il musicista che ha fatto conoscere al mondo l’Afrobeat, più di un cantante e compositore, è stato un attivista, un rivoluzionario per qualcuno il Black President, per qualcun altro un « dio vivente ». Tra loro c’è stato Michele Avantario, filmaker appassionato che negli anni Settanta scopre la sua musica, riesce a portarlo a Roma organizzando concerti storici (tra musica e arresti per detenzione di marjiuana) e ne diventa amico. Decide quindi che deve essere fatto un film su di lui, lo filmerà per anni ma il film non verrà mai realizzato. Kuti muore nel 1997 e Avantario nel 2003. Molti anni dopo la moglie di Avantario affida a Daniele Vicari il girato e il suo diario che il regista di Diaz e Sole cuore amore trasforma in un film eccezionale. Presentato alla Festa del cinema nella sezione Freestyle sarà nelle sale nel 2024.




Fela Kuti con Michele Avantario

 

Innanzitutto cosa significa “ereditare” un film e quale era il legame che la unisce a Michele Avantario?
« Mi lega ad Avantario la conoscenza di un ambiente che è il cinema a Roma negli anni Ottanta e Novanta dove sono arrivato in ritardo rispetto a Michele. Un ambiente ricco pieno di spunti e riflessioni molto più di quello che ci si potrebbe immaginare. Sono arrivato a vivere a Roma proprio nel 1984, l’anno del canto del cigno dell’estate romana di Nicolini, c’era una bellezza, un’atmosfera, musicisti di tutto il mondo. Quando Renata Di Leone, moglie di Michele, mi ha parlato di questo materiale per un film su Fela Kuti alla Festa di Roma nel 2019 e poi io ho letto i suoi diari e lì mi sono accorto di avere in comune con lui una passione sterminata per il cinema e la sperimentazione. Il suo fallimento è in realtà stato il modo di conoscere il mondo, un mondo che l’ha fatto crescere. I ragazzi di oggi non hanno lo slancio verso il mondo, siamo nella fase in cui ognuno a casa sua dietro uno schermo. C’è un legame culturale, emotivo con lui”.

Il suo legame unico con Fela Kuti ha prodotto una grande quantità di materiale ma un film incompiuto. Come ha lavorato sulla scelta dei materiali?
“Intanto ci tengo a dire che è un lavoro fatto con Andrea Campaiola, un giovane montatore. Senza di lui non lo fai un film così, come senza le musiche di Teho Teardo, Campaiola è precipitato in questa storia più di me. Che comunque amo lavorare con le immagini di altri, come è accaduto con La nave dolce, come se avessi mandato una troupe indietro nel tempo nel 1991 guardando i materiali dei giornalisti a Bari di quell’epoca. In questo caso Michele ha documentato quel momento in Africa stando poco davanti la macchina da presa mentre lo aveva fatto molto da performer prima. Si pensava che il videotape avrebbe soppiantato il cinema e quella generazione ha voluto ripensare l’espressione artistica tra cui Nam Jun Paike che ha lavorato molto con Michele. Quando incontra Fela Kuti è come se vivesse un’evoluzione violentissima e da cineasta innamorato della rappresentazione audiovisiva diventa documentarista provetto, immergendosi in una realtà non sua che era Kalakuta a Lagos ».




Vedere la storia di Fela Kuti, figura molto complessa che va oltre la musica, con il suo impegno politico, il carcere in Nigeria… intellettuale come Bob Marley porta a chiedersi se oggi quel tipo di artista sia ancora possibile?
“Io penso di sì. Che sia ancora possibile c’è ancora tanta gente che in Africa fa quello che si deve fare. Fela Kuti ha fatto quello che si doveva fare: da cantante che vive in un contesto come la Nigeria dagli anni Settanta e Ottanta, travolto da questioni nazionali e internazionali, si è domandato cosa posso fare per il mio paese? Penso a donne in Africa che fanno cose incredibili: scrittrici, videomaker, attiviste dei diritti civili, come la scrittrice camerunense Djaili Amadou Amal che racconta da anni la vicenda africana con lo stesso scopo con cui la raccontava Fela Kuti. Certo non ha la notorietà che la musica ti permetteva però quello che in quegli anni si faceva con la musica oggi si può fare con la rete, con i social. I grandi del passato come Fela Kuti hanno lasciato esempi immensi solo che noi ci troviamo in un universo di informazioni caotiche, con l’illusione di viaggiare nel mondo anche se siamo fermi di fronte al computer, quasi non ci accorgiamo. I social hanno sostituito la potenza della musica su temi come il panafricanismo di cui parlava Fela Kuti, la cosa meravigliosa presso di lui che è un unicum sia dal punto di vista musicale con un’invenzione che ha condiviso con il suo batterista Tony Allen sia politico”.

La politica, la musica, la spiritualità, il sesso vissuto in modo totalmente diverso dal nostro. È stato difficile tenere insieme tutti questi aspetti nel film?
« Ho cercato di rispettare l’esperienza che Michele racconta nel suo diario: un’immersione in un mondo altro. È uno dei pochissimi cineasti occidentali che non ha praticato nessuna forma di colonialismo neppure quello interiore che si portavano dietro i militanti terzomondisti degli anni Settanta e Ottanta che andavano a sostenere gli africani nella lotta. Michele ha un’apertura culturale totale che si fa coinvolgere totalmente da questo mondo e diventa africano, si identifica in un mondo che fino a poco prima considerava solo per la musica africana. Michele posso essere io, puoi essere tu: testimone di un percorso di formazione”.

Il diario di Avantario è letto nel film da Claudio Santamaria

« Io ho letto il diario breve ma molto intenso che Michele ha scritto alla fine della sua vita, quasi un lascito. Era una sorta di memoriale che dal punto di vista drammaturgico, insieme a Renata e Greta Scicchitano, che è una sceneggiatrice ex allieva della Scuola Volonté, abbiamo utilizzato trasferendolo nel film. Il diario racconta la trasformazione di Michele a partire dal momento in cui viene colpito dalle situazioni che incontra e poi ho pensato che il diario andava recitato da un attore che con la voce fosse in grada di trasformarsi in Michele Avantario. Eravamo ancora sotto lockdown e Claudio realizzò a casa sua un teaser per il film con il testo che gli avevo mandato che era perfetto. Lì Michele prese vita con la voce di Claudio, che essendo un musicista ha dentro di sé molto di questa storia”.

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