Ezra Collective, rappare sul jazz e jazzare sull’afrobeat

Prendi un gruppo di eccellenti musicisti jazz a una festa, gli Ezra Collective. Invitali a suonare dell’afrobeat incalzante e alla fine della serata, per allargare la pista da ballo, proponi di passare a una salsa, magari un po’ funkeggiante.

Non farti mancare un mc nella stanza e offrigli un microfono perché possa aggiungere qualche rima. Sugli striscioni che decorano il locale scrivi “I’m playing jazz my way” e ricordati di invitare ad aggiungersi alla jam anche Moses Boyd, Kamaal Williams e magari Kamasi Washington con il suo sassofono.

L’ideale poi, terminata la festa, quando rimane solo quel piccolo gruppo di irreprensibili per i quali un party non finisce mai davvero, sarebbe spostarsi a casa di qualcuno, mettere in padella dei pop corn, e guardare insieme School of Rock fino a quando non ci si addormenta sui divani e rimane solo il silenzio.

Registra tutto e avrai un album come Where I’m Meant To Be.

Dall’inclusione sociale al Mercury Prize, ecco i Ezra Collective

Questo per dire che il quintetto britannico Ezra Collective non è facilmente incasellabile e vive la musica come la vita, come un insieme di istantanee, di traguardi, di errori, di atti d’amore per la propria comunità. La libertà, come per le ragazzine e i ragazzini di School of Rock – un film che la band ama moltissimo -, è assoluta: non ci sono confini di generi musicali, di scelte creative, di featuring.

Che poi un featuring per Femi e TJ Koleoso, Joe Armon-Jones, Ife Ogunjobi e James Mollison non significa necessariamente una collaborazione musicale, tanta è l’importanza che il gruppo Ezra Collective, vincitore del Mercury Prize 2023, dà all’incontro e alle contaminazioni tra artisti: è sufficiente anche solo scambiarsi qualche idea, ascoltare dei pezzi insieme, improvvisare qualcosa e dimenticarselo subito dopo. 

È da quando il Mercury Prize è stato istituito, nel 1992, che il premio annuale dedicato agli album usciti in Gran Bretagna e Irlanda non veniva assegnato a una band con un’impronta jazz così forte. Ed è sempre da tanto tempo che una formazione jazz non risulta così giocosa e accessibile. Non a caso i componenti dei Ezra Collective si sono conosciuti nell’ambito di un’associazione culturale dedita a promuovere il jazz in nome dell’inclusione sociale. Parliamo quindi di un modo di concepire questo genere musicale poco didascalico: è altro a contare. 

Lo capisci dallo scarso perfezionismo della band – avercene di progetti imperfetti così perfetti – che è più interessata a divertirsi con il reggae e il calypso, l’hip-hop e il soul e a raccontare in musica la sua storia fatta di istanti ugualmente significativi rispetto all’incisione di materiali di cui essere pienamente e sotto ogni punto di vista soddisfatti.

Anche perché il potere che la musica può avere è tale che perdere tempo a volere sempre di più sarebbe controproducente. Lo spiega lo stesso TJ, bassista dei Ezra Collective, in uno dei parlati del più recente album della band, Where I’m Meant To Be, nella traccia Words By TJ, in cui il musicista racconta quanto immergersi nella musica possa incidere sulla vita delle persone.

Ezra Collective

Una scena in fermento

Con due album all’attivo, il debutto You Can’t Steal My Joy del 2019 e Where I’m Meant to Be del 2022, gli Ezra Collective hanno pubblicato il loro primo EP, Chapter 7, nel 2016. L’opening track di quel primo progetto s’intitolava Enter The Jungle, un’ottima presentazione alla giungla di suoni del gruppo britannico che s’inserisce nel filone del nuovo jazz londinese ricco di nomi come Shabaka Hutchings, Moses Boyd, gli Yussef Kamaal, Nubya Garcia, Tom Skinner e i Kokoroko

In questa grande famiglia sonora nata in una delle città della musica per eccellenza la parola d’ordine è eclettismo, ma sempre a partire da una solida struttura ritmica jazz che sorregge i voli pindarici e la voglia di esplorare nuovi universi dei musicisti che ne fanno parte.

A sottolineare come la musica non abbia limiti che possano contenerla spesso i musicisti della scena portano avanti in contemporanea progetti paralleli o, come nel caso degli Ezra Collective, per le parti cantate coinvolgono artisti esterni alla band. Femi Koleoso, per esempio, batterista della formazione, ha accompagnato i Gorillaz durante il loro Song Machine Tour and World Tour, un’altra band che, escluso il leader Damon Albarn, vive di collaborazioni e featuring che danno una voce, anzi tante voci, ai disegni di Jamie Hewlett.

Ezra Collective

A sentirli parlare nelle interviste Femi e soci sembrano quasi dei pastori di una qualche chiesa gospel di Harlem, con un lessico fatto di luminose parole incoraggianti e gioiosa vitalità. A incontrarli di persona probabilmente avrebbero sempre un bel sorriso stampato in faccia. Lo stesso nome del collettivo, Ezra Collective, ha un’origine biblica: Esdra fu il sacerdote del V secolo a.C., considerato come un secondo Mosè, che guidò il secondo gruppo di ebrei di ritorno dall’esilio babilonese.

È un sound felice, il loro: dove il jazz non arriva ci pensano l’afrobeat e la salsa, in una miscela che prende il meglio di tutti i generi musicali che finiscono nel frullatore degli Ezra Collective. Dove invece non arriva il suono ci pensano le parentesi di spoken words e il rap, con l’influenza di Kendrick Lamar, e in particolare del suo To Pimp a Butterfly, a fare da nume tutelare.

Alla copertina di quel disco, però, con un piccola folla arrabbiata davanti alla Casa Bianca e un cadavere ai loro piedi, gli Ezra rispondono cantando – questa volta attraverso la voce di Kojey Radical – “Spread love and put the love into the music”.

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